Rosario Livatino. L’uomo, il giudice, il credente

giugno 1, 2015

"Rosario Livatino. L'uomo, il giudice, il credente", di Roberto Mistretta, Edizione Paoline

“Rosario Livatino. L’uomo, il giudice, il credente”, di Roberto Mistretta, Edizioni Paoline.

A venticinque anni dalla morte, Roberto Mistretta ripercorre la vita del “giudice ragazzino” Rosario Livatino, evidenziandone la dimensione umana e spirituale, fondamento del suo impegno professionale.
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Caltanissetta, intitolata ai Giudici Livatino e Saetta aula magna Palazzo di Giustizia

Maggio 11, 2015

livatino caltanissetta

CALTANISSETTA – Si è svolta stamattina la cerimonia di intitolazione dell’aula magna del Palazzo di Giustizia ai Giudici Rosario Angelo Livatino e Antonino Saetta, entrambi originari di Canicattì e uccisi dalla mafia a causa delle loro impegno contro la malavita organizzata e la corruzione. All’appuntamento era presente, tra gli altri, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che ha detto: «I boss capiranno che la loro stagione è finita. Abbiamo la forza per farcela. A nessuno di noi deve mancare il coraggio per continuare la loro strada». «Quel sangue versato sulle strade siciliane – ha aggiunto Alfano – non può essere stato invano. Lo Stato ha fatto passi avanti, non a gratis ma con il prezzo pagato da uomini come Saetta e Livatino, che sono stati servitori dello Stato. La loro morte ha dato coraggio ad altri uomini. Quel sangue è servito a dare coraggio allo Stato».
«Non abbiamo finito di fare i conti con la mafia – ha proseguito – ma abbiamo impedito che la mafia si riorganizzasse. Dobbiamo fare squadra dove ognuno deve giocare per vincere. Se c’è qualcuno colluso con la mafia, la squadra diventa debole».
«I mafiosi sono dei ladri, criminali, assassini. Sono dei ladri perché ci hanno tolto parole come onore, rispetto, dignità e famiglia. La missione educativa della scuola è essenziale per riprenderci le nostre parole. L’altro ieri a Palermo ho provato gioia – ha concluso il ministro – quando il covo di Riina è stato consegnato ai Carabinieri e la sua camera da letto è diventata l’ufficio del comandante».

(foto tratta dal sito istituzionale del Ministero dell’Interno)

Palermo, ricordato Livatino magistrato di sorveglianza

Maggio 5, 2015

Si è svolta stamattina, presso l’Aula Magna della Corte di Appello di Palermo, la seconda giornata del convegno “Carcere, Città e Giustizia nel quarantennale dell’Ordinamento penitenziario e nell’anno del verdetto di Strasburgo”, promosso dal Progetto europeo “Prison litigation work”, dal Coordinamento nazionale dei Magistrati di Sorveglianza (Conams), con il contributo di 25 associazioni. La due giorni di lavori è iniziata ieri al carcere Ucciardone ed è terminata nel pomeriggio di oggi a Palazzo Steri, dove si è tenuto un interessante convegno che ha visto la partecipazione di due giudici della Corte europea per i diritti umani.

Nel corso dell’incontro tenuto al Palazzo di Giustizia è stata rimarcata l’importanza della funzione della magistratura di sorveglianza, il cui ruolo viene spesso sottovalutato, come del resto lo è anche la funzione rieducativa del carcere. “Il magistrato di sorveglianza deve essere un ponte tra la città e il detenuto, aiutandolo a intessere relazioni sociali, che ne favoriscano il reinserimento”, ha sottolineato il coordinatore nazionale del Conams, Dott. Nicola Mazzamuto.

Secondo i relatori, la soluzione al problema carcerario non può arrivare dalla costruzione di nuove carceri, che spesso si rivelano scuole di specializzazione del crimine. I dati – si è detto – dimostrano che sono le misure alternative a fare diminuire i casi di recidiva. La recidiva, infatti, è del 68% per quei detenuti che finiscono di scontare la pena in carcere, si abbassa drasticamente al 19% quando termina la pena viene scontata con l’applicazione di misure alternative ed è appena dell’1% quando i detenuti vengono immessi nel circuito produttivo.

È anche vero, tuttavia, che non tutte le realtà italiane sono pronte a favorire l’inserimento dei detenuti. Se le città settentrionali offrono più spazi, al Sud e in Sicilia non può dirsi altrettanto. Fa eccezione Favignana, tra i cui confini si sperimenta un proficuo scambio cittadinanza-detenuti, che consente a questi ultimi di lavorare all’esterno. Nell’isola, quindi, c’è l’immigrato irregolare, che si prodiga fattivamente per gli anziani dell’isola, eseguendo per loro riparazioni e tutta una serie di lavori domestici, il quale ha beneficiato della liberazione condizionale. Ci sono, poi, i due detenuti in libertà condizionale, che hanno avviato una piccola azienda agricola ed emergono tutta una serie di esperienze che consentono di considerare i detenuti una risorsa per il territorio. “A Favignana sono stati intrapresi percorsi di reinserimento sociale altrove impossibili da attuare”, ha spiegato la Dott.ssa Chiara Vicini, magistrato di sorveglianza di Trapani, sottolineando come i detenuti siano dei favignanesi a tutti gli effetti.

Proprio a Favignana si trovò a lavorare un giovane Giovanni Falcone. Appena trentenne, il Giudice palermitano fu magistrato di sorveglianza a Palermo e a Trapani. Era l’8 ottobre 1976 e Falcone fu sequestrato nel carcere di Favignana da un anarchico, Vincenzo Oliva, che qui era detenuto assieme ad altri carcerati ritenuti particolarmente pericolosi. Il Giudice Falcone mostrò già in quella circostanza grande fermezza, nonostante fosse magistrato di prima nomina.

Oltre alla figura di Falcone, il Conams ha ricordato altre figure di magistrati che hanno incarnato la figura del magistrato ideale, per dedizione al lavoro e umanità nell’approccio con i detenuti.

Il Dott. Nicola Mazzamuto ha ricordato come Rosario Livatino fosse stato applicato diverse volte all’ufficio di sorveglianza di Agrigento. “Di lui – ha detto Mazzamuto – ricordo la forbitezza e la ricercatezza del linguaggio giuridico utilizzato nel corso di un’udienza alla quale partecipammo insieme. I suoi colleghi di quel periodo ne testimoniano ancora la gentilezza, la profonda attenzione agli altri, la spiccata galanteria, che ne faceva un gentiluomo d’altri tempi”. Per il Dott. Walter Carlisi, magistrato di sorveglianza al Tribunale di Agrigento, “Livatino ci ha lasciato una testimonianza di straordinaria modernità. Invito tutti – ha esortato – a rileggere la sua relazione sul ruolo del giudice nella società che cambia, nella quale, tra le altre cose, trattava il tema della responsabilità dei magistrati e già nel 1984 forniva una serie di soluzioni sul punto straordinariamente attuali. Ad Agrigento – ha aggiunto il magistrato – Livatino era alquanto isolato dal punto di vista istituzionale oltreché umano, isolamento che è pericoloso per tutti i servitori dello Stato con la ‘s’ maiuscola”.

Il giudice Pietro Scaglione è stato ricordato dal Prof. Antonio Scaglione, vicepresidente del Csm militare e docente dell’Università di Palermo, il quale ha tessuto un commosso profilo biografico del padre. L’uccisione di Scaglione, il primo magistrato ucciso da Cosa nostra, segnerà un punto di non ritorno nella strategia della criminalità mafiosa, tracciando una linea di sangue che non trova riscontro in nessun paese occidentale.

Quando la mia terra si tinge di sangue. Francesco Spoto, Rosario Livatino, Pino Puglisi

Maggio 1, 2015

Copertina Libro Padre Vincenzo Sorce

“Quando la mia terra si tinge di sangue. Francesco Spoto, Rosario Livatino, Pino Puglisi”, di Vincenzo Sorce, Edizioni Solidarietà.

Giovanni Falcone ai funerali di Rosario Livatino

aprile 4, 2015

giovanni falcone ai funerali di livatino

Canicattì, 1990

La foto, di Tony Gentile, è inserita nel volume di recente pubblicazione “La guerra. Una storia siciliana” (Postcart edizioni).

I martiri della giustizia

marzo 7, 2015

“(…) Anche il martire cristiano, in fedeltà a Cristo, può morire per la giustizia. E anche il martire civile può ritrovarsi associato a Cristo – modo Deo cognito, potremmo dire con GS 22 – mentre si sacrifica per la giustizia.
La giustizia di cui qui si parla non è soltanto quella richiesta all’uomo, bensì la giustizia elargita all’uomo; non è solo un’esigenza etica ma anche un dono di salvezza; non è solo l’equità rivendicata eroicamente dal basso ma anche la dignità inalienabile in quanto conferita dall’alto. Soprattutto, tale giustizia non è solo la più importante delle virtù umane, ma anche il modo concreto in cui nella Bibbia si traduce la santità: il Dio Santo è il Dio Giusto, e l’uomo santo è l’uomo giusto che si lascia conquistare dalla giustizia di Dio e si mette al suo servizio: è questo il destino del Servo sofferente interpretato da Gesù, nella cui vicenda la giustizia di Dio e la giustizia dell’uomo non sono più disgiungibili. Il martire per la giustizia è dunque uno che si fa strumento della giustizia di Dio a favore dei più bisognosi di essa tra gli uomini, anche a costo della propria vita; egli sa che può evitare la morte solo smettendo di operare per la giustizia; ma non smette perché sa che in tal caso tradirebbe la volontà del Dio Giusto. Il martire non vuole la morte, anche se sa che la morte può arrivare contro di lui e non si sottrae ad essa per rimanere coerente e perseverante nel servizio alla giustizia per gli uomini e, quindi, al Dio della giustizia (…)”.

da un contributo del teologo Don Massimo Naro, pubblicato sul blog dedicato al Beato Padre Pino Puglisi (v. anche la pagina Facebook).

L’auditorium del Polo universitario di Agrigento intitolato al giudice Rosario Livatino

dicembre 15, 2014

Intitolazione auditirium

Testimoni di speranza

novembre 15, 2014

Rosario Livatino. L’eroismo di un giovane giudice che ha servito lo Stato alla luce del Vangelo“.
Sul numero di novembre della rivista Milizia Mariana un profilo del Giudice e Servo di Dio Rosario Livatino.

ottobre 1, 2014

Rosario Livatino: a che punto è la causa di beatificazione?

L’Amico del Popolo intervista il Postulatore della Causa di Canonizzazione, Don Giuseppe Livatino.

Pericolosamente onesto

settembre 25, 2014

di Ferdinando Cancelli

«Sotto il ponte della giustizia passano tutti i dolori, tutte le miserie, tutte le aberrazioni, tutte le opinioni politiche, tutti gli interessi sociali; e si vorrebbe che il giudice fosse in grado di rivivere in sé, per comprenderli, ciascuno di questi sentimenti: aver provato lo sfinimento di chi ruba per sfamarsi o il tormento di chi uccide per gelosia; essere, volta a volta, inquilino e locatore, mezzadro e proprietario di terre, operaio scioperante e padrone d’industria».
Scriveva così Piero Calamadrei. Rosario Livatino ha lasciato poche parole scritte al di fuori di quelle contenute negli atti giudiziari ma con la sua testimonianza di uomo e di giudice è una di quelle figure in grado non solo di parlare al cuore di chi lo incontra ma di infondere la stessa speranza certa che ha illuminato i giorni della sua breve vita terrena. Barbaramente assassinato dalla mafia agrigentina all’età di 37 anni mentre il 21 settembre del 1990 rientrava nella sua casa di Canicattì dopo una delle sue solite dure giornate di lavoro, il giudice Livatino, «pericolosamente onesto» nella definizione che di lui diede il magistrato di Corte di Cassazione Lo Re pochi mesi dopo la sua uccisione, mostra con evidenza la forza che si può nascondere dietro le dimesse apparenze di una vita semplice e schiva, ordinata da profondi valori e da una rettitudine che non si ferma davanti alle minacce e ai tentativi di corruzione. Indicato da Papa Francesco nel discorso del 17 giugno al Consiglio superiore della Magistratura come un «testimone esemplare» cui ispirarsi insieme a Vittorio Bachelet, figlio di quella Sicilia spesso trascurata dai riflettori, Rosario Livatino crebbe e si formò su una solidissima base culturale sia familiare che scolastica tanto da essere in grado, come ricordato dalla professoressa Abate sua docente liceale e sua biografa, di «tradurre i capolavori per appropriarsene, per riascoltare nella loro lingua il timbro delle voci eterne, per farsi uno stile». E lo stile del giudice Livatino, sostenuto da una fede limpida, lo porterà, come scrive un suo collega, a essere «un magistrato non patinato, un uomo abituato a svolgere il suo lavoro lontano dal proscenio delle interviste e delle polemiche, calato nell’ordinarietà di un servizio così forte da suscitare l’allarme e la vendetta della bestialità mafiosa». Sono pochissime le fotografie che lo ritraggono ma in tutte si nota qualcosa di commovente: lo sguardo puro di un’anima bella, uno sguardo rimasto immutato da quella prima un po’ sbiadita immagine che lo ritrae bambino con una mano in quella del papà e con l’altra in quella del nonno fino alla maturità del ruolo di sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Agrigento e poi di giudice a latere della stessa città. Leggi il seguito di questo post »